E il ragazzino palestinese bruciato vivo? Martedì 2 luglio il corpo carbonizzato di un adolescente palestinese è stato trovato in un bosco nei pressi di Gerusalemme. Mohammed Abu Khdeir, 16 anni, è stato bruciato vivo, come dimostrerà l’autopsia. Immediatamente si pensa a una vendetta da parte di gruppi estremisti ebraici, anche se la polizia segue anche altre piste. Qualche giorno più tardi le autorità israeliane arrestano tre persone, tutti maschi ebrei israeliani, che confessano l’omicidio. Visto che le autorità israeliane mantengono la massima riservatezza, di loro ufficialmente si sa soltanto che sono un uomo di 30 anni e due minorenni, residenti di Gerusalemme e Beit Shemesh. Ma diverse indiscrezioni apparse sulla stampa locale puntano verso l’estremismo nazionalista (qualcuno dice kahanisti, qualcun altro parla di hooligan più oltranzisti del Beitar, altri ancora di “teenager sperduti” fuoriusciti da gruppi ultraortodossi). Pochi giorni dopo si viene a sapere che forse anche un altro assassinio, quello della ventenne Shelly Dadon , uccisa un mese prima, potrebbe essere un “omicidio etnico”: il 7 luglio infatti viene arrestato l’assassino, un tassista arabo israeliano. A quel punto pare evidente che la tensione tra arabi ed ebrei è letteralmente alle stelle. In realtà, però, più che accelerare l’escalation, questo l’ha rimandata. Se davvero Netanyahu intendeva “vendicarsi” con una vasta operazione contro Hamas per l’uccisione dei tre ragazzi in Cisgiordania, la situazione in Israele probabilmente gli ha fatto cambiare idea (unita al fatto che generali e intelligence nutrivano qualche dubbio sull’utilità). Quando però Hamas ha risposto alle operazioni – diciamo “contenute” – di Israele con un lancio massiccio di razzi, Netanyahu s’è convinto di non potere non rispondere con la massima potenza. - www.rivistastudio.com